AI e sostenibilità

Le Intelligenze artificiali stanno diventando sempre più protagoniste della nostra vita di tutti i giorni. Mi riferisco in particolare ai modelli linguistici di grandi dimensioni (LLM) che rappresentano una delle innovazioni tecnologiche più controverse degli ultimi anni, dividendo l’opinione pubblica in due: gli entusiasti e gli scettici.

Come mi è già capitato di dire in precedenza io mi sento più in linea con coloro che vedono positivamente l’introduzione di questi nuove tecnologie ma allo stesso tempo sono consapevole di tutte le problematiche connesse ad un uso improprio e generalizzato.

Oggi parliamo di un aspetto particolarmente rilevante e spesso sottovalutato: l’impatto ambientale e la sostenibilità dei sistemi di IA. Mi riferisco in particolare al consumo energetico e idrico.

L’impatto energetico e idrico dell’IA

I modelli LLM richiedono molta più potenza di calcolo rispetto ad altri servizi tradizionali disponibili su internet, consumando da 100 a 1000 volte più risorse computazionali. E tutto questo ha un impatto notevole in termini di domanda energetica. Con ripercussioni enormi (alcuni direbbero fuori controllo) in termini di emissioni ci CO2 e di consumo idrico. Sì, perché l’acqua viene utilizzata per il raffreddamento dai grandi centri di elaborazione dati in tutto il pianeta. Giusto per mettere le cose in prospettiva:

  • si stima che l’addestramento di GPT-3 abbia consumato tanta acqua quanto la produzione di 370 auto BMW o 320 Tesla;
  • ChatGPT “beve” l’equivalente di una bottiglia d’acqua da 500 ml per una conversazione di 20-50 domande e risposte.

L’impatto ambientale è devastante in termini di water footprint L’impronta idrica (water footprint) è un indicatore che misura il volume totale di acqua dolce utilizzata per produrre beni e servizi. e le Big Tech si dicono preoccupate riguardo la sostenibilità di questi modelli e stanno attualmente cercando soluzioni per affrontare il problema. Si va dall’uso di di energie rinnovabili allo sviluppo di hardware più efficiente. In alcuni casi ci si avvale di acqua non potabile e addirittura si riutilizza l’acqua calda per riscaldare edifici vicini.

Nonostante questi nobili tentativi, il problema rimane e con esso la preoccupazione. Il punto è che ormai fin troppi servizi si avvalgono di queste nuove tecnologie ed evitare di contribuire a questo consumo rappresenta al momento una chimera. Inoltre, nell’era dell’ipocrisia globale, le grandi aziende tecnologiche (seppur dicendosi seriamente preoccupate) continuano a promuovere l’IA come strumento cruciale per l’innovazione. E allora da un giorno all’altro mi aspetto che sbuchi l’avvertenza:

Si invita la clientela a un uso consapevole delle AI

Le Grandi Rivoluzioni

Dieci anni fa, nel 2014 lo storico e filosofo Yuval Noah Harari descrisse nel suo libro intitolato “Sapiens. Da animali a dèi” le tre grandi rivoluzioni che hanno segnato il percorso evolutivo e storico del genere umano:

  1. La Rivoluzione Cognitiva: avvenuta circa 70.000 anni fa, ha segnato l’emergere del linguaggio complesso e del pensiero astratto. Questa rivoluzione ha permesso agli esseri umani di cooperare in modo più efficace, creare miti e storie condivise, e sviluppare culture complesse.
  2. La Rivoluzione Agricola: iniziata circa 12.000 anni fa, ha visto il passaggio da società di cacciatori-raccoglitori a società agricole stanziali. Questo cambiamento ha portato alla nascita di civiltà più grandi e complesse, ma anche a nuove sfide come le disuguaglianze sociali e le malattie.
  3. La Rivoluzione Scientifica: cominciata circa 500 anni fa, ha dato origine al metodo scientifico moderno e a un rapido progresso tecnologico. Questa rivoluzione ha trasformato radicalmente il modo in cui gli umani comprendono e interagiscono con il mondo, portando a cambiamenti senza precedenti nella società, nell’economia e nell’ambiente.

Queste rivoluzioni, secondo Harari, hanno plasmato il corso della storia umana e ci hanno portato dalla condizione di animali a quella di “dei”, nel senso che abbiamo acquisito capacità e poteri che un tempo erano attribuiti solo alle divinità.

I progressi della rivoluzione scientifica è ancora in atto e stiamo attraversando un periodo di forti e veloci trasformazioni. È la cosiddetta Rivoluzione Digitale o dell’Informazione. Proviamo a ripercorrerla velocemente.

Prendendola alla lontana, potremmo partire dal 1833 quando Charles Babbage (1791-1871) progettò la macchina analitica ovvero il primo vero calcolatore programmabile, in senso moderno, della storia.

Bisogna poi passare al 1939 quando John Vincent Atanasoff e Clifford E. Berry dell’Iowa State University costruirono l’Atanasoff Berry Computer (conosciuto come ABC), il primo computer digitale totalmente elettronico.

Ma per metterle con le parole di Henry Ford, “il vero progresso si ha solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti.”. E allora passiamo al gennaio del 1975 con il lancio da parte della Micro Instrumentation and Telemetry Systems (MITS) del primo personal computer comunemente riconosciuto: l‘Altair 8800.

All’Altair 8800 nel 1975 seguirono in rapida successione: IBM 5100 (1975), MD 800 (1976), Apple I (1976), Apple II (1977), Commodore PET (1977), Tandy/Radio Shack TRS-80 (1977), Olivetti P6060 (1975), Atari 400/800 (1979), Commodore VIC-20 (1980), IBM PC (1981), Commodore 64 (1982), Apple Lisa (1983), Apple Macintosh (1984), Atari ST (1985), Commodore Amiga 1000 (1985), Microsoft Windows 1.0 (1985).

E poi nel 1991 nacque il World Wide Web grazie a Tim Berners-Lee che al CERN sviluppa il primo sito web e il concetto di hyperlink.

Un anno dopo (1992) e arriva quello che viene considerato il primo smartphone: IBM Simon che combinava un telefono cellulare con funzioni di PDA (personal digital assistant).

Poi nascono i primi social networks: SixDefrees (1997), Friendster (2002), MySpace (2003), LinkedIn (2003), Facebook(2004),… che disegnano un nuovo modo di guardare a internet e alla comunicazione.

Grandi passi in avanti anche nel campo dell’intelligenza artificiale: nel 1997 Deep Blue di IBM sconfigge il campione del mondo di scacchi Garry Kasparov; nel 2011 IBM Watson vince a Jeopardy contro campioni umani e nel 2016 AlphaGo di Google DeepMind sconfigge il campione mondiale di Go.

Arriviamo così al 2017 con la pubblicazione dell’articolo scientifico “Attention Is All You Need” da parte dei ricercatori di Google Brain che introducono l’architettura Transformer. Un lavoro considerato fondamentale nel campo del Natural Language Processing (NLP) e che ha gettato le basi per lo sviluppo dei moderni Large Language Models (LLM). Tutti nomi e concetti poco conosciuti al grande pubblico. Ed ecco allora che ci tornano alla mante, ancora una volta, le parole di Henry Ford: “il vero progresso si ha solo quando i vantaggi di una nuova tecnologia diventano per tutti.”. E fu così che il 30 novembre 2022 viene lanciato ChatGPT da parte di OpenAI.

E poi come avvenne negli anni ’70 / ’80 con il proliferare di nuovi personal computers anche oggi abbiamo un proliferare di LLM:

ModelloProduttore
GPT-4OpenAI
Claude 3Anthropic
GeminiGoogle
LLaMA 2Meta
PaLM 2Google
BERTGoogle
T5Google
Mistral AI modelsMistral AI
Phi-2Microsoft

L’impatto di questi LLM nella vita di tutti i giorni è sotto gli occhi di tutti. Questi strumenti stanno trasformando il modo in cui interagiamo con la tecnologia, elaboriamo informazioni e svolgiamo le nostre mansioni. Siamo nel cuore di questa rivoluzione (forse la più dirompente) e nessun settore è escluso.

Come ogni innovazione rivoluzionaria, gli LLM polarizzano l’opinione pubblica, creando un ampio spettro di reazioni che vanno dall’entusiasmo incondizionato al pessimismo più cupo. In questa scala di emozioni, la mia personale posizione è più vicina agli ottimisti pragmatici: riconosco l’incredibile potenziale di questi strumenti nella piena consapevolezza delle sfide etiche, sociali e tecniche che gli LLM ci mettono di fronte. Purtroppo mi accorgo che i più acerrimi contestatori di questi strumenti sono anche le persone meno informate su cosa sono esattamente e come funzionano questi strumenti.

Qui su infigures proveremo a fare chiarezza su una questione che diventerà centrale nel discorso tecnologico, politico e sociale dei prossimi anni. Segui infigures.it per una maggiore conoscenza e consapevolezza, trasformiamo insieme i dati in conoscenza e le sfide in opportunità.

Il futuro della Musica al tempo delle AI

Nello scorso articolo La semplificazione delle melodie nella musica pop abbiamo visto come le melodie della musica pop si siano andate via via semplificandosi nel corso del tempo. Oggi rimaniamo sul tema musica e proviamo ad immaginare il futuro della Musica in relazione ai più recenti sviluppi in termini di Intelligenza Artificiale.

Negli ultimi anni, l’avanzamento tecnologico ha avuto un forte impatto in molti settori, non ultimo quello della musica. Le cosiddette AI stanno trasformando radicalmente il panorama musicale sia in termini di produzione che di esecuzione. Pensiamo, per esempio, a shazam, un servizio, basato su algoritmi di riconoscimento audio, che permette agli utenti di identificare il titolo e l’autore di un brano semplicemente ascoltandolo per pochi secondi. Pensiamo anche all’autotune, una tecnologia utilizzata per correggere l’intonazione della voce in tempo reale, diventata ormai uno strumento essenziale sia nelle registrazioni in studio che nelle performance dal vivo di sedicenti cantanti dell’ultim’ora.

In ambito musicale, a ben guardare, la presenza delle AI si nasconde dietro ogni angolo:

  • Estrazione automatica delle varie parti di un brano (voce, batteria,…).
  • Riconoscimento di brani (shazam).
  • Conversione di audio in spartito (trascrizione automatica).
  • Correzzione dell’intonazione in tempo reale (autotune).
  • Creazione di tutor virtuali per la didattica musicale.
  • Ripristino di registrazioni audio imperfette.
  • Creazione di arrangiamenti orchestrali o strumentali partendo da melodie base.
  • Mixaggio e Mastering.
  • Generazione di nuovi timbri e strumenti musicali.
  • Creazione di versioni personalizzate di brani esistenti.
  • Improvvisazioni e duetti tra persone e IA.
  • Utilizzo del timbro vocale di artisti, vivi o scomparsi, per nuove composizioni.

Tutte soluzioni che sono attualmente disponibili e ampiamente utilizzare.

A chi fosse sfuggito, l’anno scorso ( il 2 novembre 2023) è uscito il singolo “Now and Then” nientepopodimeno che dei Beatles. Il pezzo è stato generato grazie all’intelligenza artificiale utilizzando una registrazione demo del 1977 di John Lennon, rielaborata nel 1995 con parti di chitarra da George Harrison e poi ultimata nel 2022 con il basso di Paul McCartney e la batteria di Ringo Starr.

Quando si parla di AI in ambito musicale ci sono considerazione etiche, questioni di copyright, questioni filosofiche sul concetto di creatività,… ma al netto di tali questioni (anche rilevanti), da un punto di vista prettamente tecnico, vine da dire: wow!

Oggi abbiamo voluto mettere alla prova uno di questi tool AI in campo musicale chiamato suno.com. È uno strumento che può essere utilizzato gratuitamente (entro certi limiti). Abbiamo passato a suno questo prompt:

canzone in stile bossa nova che sia un apologia della data science e dei numeri in generale

Ed ecco cosa in pochi minuti è riuscito a creare un brano che ha chiamato “Numeri d’Oro” eccolo a voi:

E questo è il testo interamente generato dall’AI:

[Verse]
Numeri e connessioni
Grafici e soluzioni
Ogni giorno una scoperta
La bellezza è nella cifra

[Verse 2]
Tra algoritmi e formule
Troviamo risposte pronte
Una danza di variabili
Che ci porta verso il sole

[Chorus]
Data science noi amiamo
Nei numeri ci troviamo
Dai dati il mondo leggiamo
Verità noi scopriamo

[Verse 3]
Dal caos nasce ordine
Ogni pattern ha un segnale
Un sentiero tra i numeri
Verso un mondo più reale

[Chorus]
Data science noi amiamo
Nei numeri ci troviamo
Dai dati il mondo leggiamo
Verità noi scopriamo

[Bridge]
Ogni dataset un viaggio
In un mare di possibilità
Le risposte sono dentro
Quando seguiamo la realtà

Certo non è il massimo ma è davvero impressionante la velocità con cui ha creato questo brano dal nulla, senza alcun intervento umano se non il mio scarno prompt di partenza. Questa capacità non solo mette in parte in discussione il futuro della professione del musicista, ma cambia anche la natura stessa della musica. Fino ad oggi, la musica è sempre stata associata a un autore umano, un’espressione artistica personale. Ora, abbiamo musica composta e realizzata da macchine, indistinguibile da quella umana.

Numeri d’Oro“, un pezzo che a buon vedere potrebbe anche diventare la sigla di infigures! Che dite?

USA e la violenza

Dopo l’attentato a Donald Trump, in conferenza stampa Joe Biden ha usato queste parole per condannare l’atto: non c’è posto in America per questo tipo di violenza.

Le parole esatte sono state “there is no place in America for this kind of violence or any violence for that matter. An assassination attempt is contrary to everything we stand for as a nation. everything. It’s not who we are as a nation, it’s not America and we cannot allow this to happen.”

Non c’è posto in America per questo tipo di violenza o per qualsiasi altra violenza, un attentato è contrario a tutto ciò che rappresentiamo come nazione, non è ciò che siamo come nazione, non è l’America e non possiamo permettere che questo accada.

Bene (anzi male), forse Biden dimentica che l’America è quel paese che ha visto ben 4 dei suoi 46 presidenti assassinati. Abramo Lincoln (1865), James Garfield (1881), William McKinley (1901), John Kennedy (1963).

Forse Biden dimentica che in America ci sono più armi che persone. Nel 2021, un sondaggio ha rilevato che circa il 42% delle famiglie statunitensi ha dichiarato di possedere una o più armi da fuoco. I risultati sono ben rappresentati in questo grafico di Statista .

Una Paese che ha connaturato in sé il concetto di violenza. Un Paese il cui secondo emendamento legge “Essendo necessaria alla sicurezza di uno Stato libero, una ben organizzata Milizia, il diritto dei cittadini di detenere e portare Armi, non potrà essere violato” e suona come un inno all’autogiustizia.

E visto che ci siamo, vediamo anche cosa dice l’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) in tema di sicurezza. Negli Stati Uniti il tasso di omicidi (numero di omicidi ogni 100 000 abitanti) è pari a 5,6, un tasso superiore rispetto alla media OCSE, pari a 2,6. Per la cronaca in Italia il tasso è pari a 0,5.

Biden e anche Trump si dimenticano una campagna elettorale tutta incentrata sulla violenza verbale, su slogan privi contenuti, su l’avversario politico che diventa un nemico!

Sulle abitudini sessuali degli italiani

Con una certa regolarità mi imbatto in articoli sulle presunte abitudini sessuali degli italiani. Si fa spesso riferimento ai risultati di sondaggi che hanno come oggetto il numero medio di rapporti, la loro durata o ancora il numero medio di partner.

Nell’ultimo articolo che mi è capitato di leggere viene detto: “Il numero medio di partner intimi che le persone hanno in una vita intera varia tra i 4,3 per le donne e i 6,3 per gli uomini“. Fonte: Centers for Disease Control and Prevention. Anche il CENSIS afferma: “Oggi il numero medio di partner sessuali avuti a quarant’anni è 6, 4 per le donne, 7 per gli uomini.” E puntualmente il leitmotiv si ripropone di sondaggio in sondaggio: gli uomini hanno più partner rispetto alle donne.

Molti di voi non saranno sorpresi nel leggere questi numeri, eppure una situazione del genere è impossibile da un punto di vista matematico. Cerchiamo di analizzare la faccenda in maniera semplice. Supponiamo di avere 10 uomini e 10 donne le cui relazioni eterosessuali sono descritte nel diagramma qui sotto.

In questo diagramma contiamo 15 liaison amoureuse (linee che legano un uomo a una donna). Quindi facendo il numero medio di rapporti per gli uomini otterremo 15/10 e stesso identico calcolo per le donne: le due medie sono uguali. Provate ad aggiungere quante connessioni (linee) volete, complicando il diagramma a dismisura ma sempre otterrete lo stesso numero. Il numero medio di partner per gli uomini deve essere uguale al numero medio di partner per le donne. Il lettore che fosse sorpreso da questa evidenza è invitato a prendere carta e penna e controllare da sé prima di continuare la lettura.

Cinque possibili motivi
Bene, assodato che da un punto di vista matematico le due medie devono essere uguali, possiamo domandarci il motivo per cui in tutti i sondaggi gli uomini sembrano avere molti più rapporti intimi rispetto alle donne. I motivi possono essere diversi. Io ne ho ipotizzati 5 (alcuni più fantasiosi di altri).

Il primo è che il sondaggio presenti qualche problema di campionamento, ovvero che il campione degli intervistati non sia rappresentativo della popolazione. Ad esempio, se il campione fosse sbilanciato tra uomini di una certa età e donne giovani, è evidente che gli uomini maturi abbiano avuto più tempo a disposizione per avere più partner.

Secondo motivo. Il sondaggio riguarda tutti i tipi di rapporti sessuali e non soltanto quelli eterosessuali. In questo caso però la differenza tra le due medie può essere spiegata soltanto da una maggiore concentrazione di rapporti omosessuali tra i ranghi maschili.

Terzo possibile motivo. Essendo un sondaggio condotto su italiani è possibile che i maschietti vantino un maggior numero di performance con le straniere. Insomma d’estate tutti in Romagna a caccia di svedesi.

Quarto motivo, ci incominciamo ad avvicinare al vero. Gli uomini potrebbero interpretare le domande sulla loro vita sessuale in modo diverso rispetto alle donne. Ad esempio, potrebbero includere relazioni brevi o casuali nei loro conteggi di partner, mentre le donne potrebbero escluderle. Un petting (effusioni amorose o semplici preliminari) viene facilmente segnato come gol nel taccuino dei maschietti.

Quinto motivo, il più accreditato, si rifà a pressioni sociali e stereotipi di genere. Gli uomini in generale sentono una certa pressione sociale e sentono di dover dimostrare virilità e successo sessuale. Sono pertanto più propensi a gonfiare il numero di partner. E ricordiamoci che questo genere di sondaggi i numeri sono autodichiarati. Inoltre questo è anche il motivo per cui non ci sorprendiamo più di tanto quando leggiamo i risultati di questi sondaggi.

Altri motivi? Fammi sapere nei commenti.

Considerazioni finali
Di tutto questo, la cosa che mi colpisce maggiormente è da un lato la leggerezza con cui questi risultati vengono riportati e dall’altra la facilità con cui siamo portati a credere a questi numeri. Anche quando sono evidentemente dati impossibili. Il fatto che gli uomini abbiano in media più rapporti sessuali delle donne è in qualche modo in linea con la nostra visione del mondo, e dunque lo consideriamo prima verosimile e poi veritiero. Sul tema verità e verosimiglianza già ci è capitato di parlarne qui su infigures. Un tema molto attuale strettamente legato a quello delle fake news.

Possibili obiezioni
Qualcuno potrebbe obiettare che il discorso regge solamente se il numero di uomini è uguale al numero di donne. Bene, diciamo che in tutti i paesi del mondo la suddivisione tra uomini e donne è pressappoco 50-50. Le differenze sono lievi e variano da paese a paese (ne parleremo presto qui su infigures). In Italia per esempio (considerate tutte le età) secondo le stime ISTAT siamo 58.997.201 abitanti di cui 28.814.832 uomini (48.8%) e 30.182.369 donne (51.2%).

Proviamo a fare i calcoli partendo da questa suddivisione tra uomini e donne (48.8 vs 51.2). Supponiamo inoltre 7 rapporti in media per gli uomini (come da studio CENSIS). In questo caso avremmo un totale di 7 * 28.814.832 rapporti eterosessuali. Per ottenere il numero medio di rapporti per le donne avremo 7 * 28.814.832 / 30.182.369 e dunque 6.7. Esiste pertanto una lieve differenza tra le due medie ma la forbice è molto più stretta rispetto a quanto viene riportato usualmente da questo genere di sondaggi. Inoltre la differenza cui assistiamo è da imputare totalmente alla composizione della popolazione (rapporto uomini e donne) e non certo a differenti abitudini sessuali tra uomini e donne.

Quanto eravamo belli…

Ve lo ricordate quanto eravamo belli nel 2020? A sbloccarci qualche ricordo, oggi ci aiuta google trends il servizio che mette a disposizione tutti i dati relative alle ricerche sul motore di ricerca per eccellenza. Ecco cosa abbiamo cercato nel 2020 a partire da “Come fare…”

Eravamo bellissimi. Tutti lì così occupati a sopravvivere. Cercavamo su google il modo di fare il pane, la pasta, come fare le mascherine per non doverle comprare. Giocavamo come dei piccoli alchimisti cercando di produrre in casa il lievito madre. Il lievito di birra the new pietra filosofale.

“Papà, papà, ok il pane fatto in casa ma io ho anche sete…”
“Ok google: come si fa il limoncello?”

Oddio ho bisogno del green pass ⇒ devo scaricare IO ⇒ mi serve lo spid!
Oddio, mi sento strano, come si fa il tampone?

Che tempi quelli. E noi potremo dire ai nostri nipoti di esserci stati, di esserci battuti come leoni nelle lunghe ore di fila ai supermercati.

E oggi? Come siamo cambiati, come siamo invecchiati nel frattempo? Cosa andiamo a cercare per il web?

Siamo negli anni 20 del Terzo Millennio e c’è chi ancora non sa fare uno screenshot (#1 e #8). Partiamo male.

Smaniamo dalla voglia di sapere come si fanno i soldi (#2), e pure velocemente (#24)! Perseguitati dall’incubo dello SPID (#3, 5 e 12), cerchiamo un modo per fare il passaporto (#6 e 7), possibilmente online (#16 e 18). Verosimilmente per espatriare. Mi raccomando la destinazione il più remota possibile!

Qualcuno invece che con l’aereo cerca di allontanarsi in treno (#20 e 25). Probabilmente si tratta di qualcuno in ristrettezze economiche perché qualcun altro che doveva fargli il bonifico non ha trovato risposte esaurienti su google (#11). Insomma, tutto ruota intorno ai soldi, (isee #9) e allora proviamo a cambiare lavoro ma prima c’è da fare il curriculum vitae, oddio come si fa (#14)?

Ultima spiaggia il dropshipping (#21). Il dropshipping, ci rendiamo conto!? E allora siamo davvero alla frutta, ci meritiamo davvero l’estinzione. A rifletterci bene, dovremmo un po’ tutti andare a cagare! Ma qualcuno sembrerebbe non saper neanche più come si fa… #10

30km/h che dicono i numeri?

La proposta di ridurre il limite di velocità urbano a 30 km/h ha scatenato un acceso dibattito, riflesso della polarizzazione tipica in Italia su qualsiasi argomento. Così, mentre il sindaco di Roma, Gualtieri, inaugura le prime zone con limite a 30 km/h (in tutto ne sono previste 70), il ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Salvini, interviene con una direttiva per regolamentare l’adozione indiscriminata di tali limiti da parte dei comuni (richiedendo che le deroghe ai 50km/h siano circoscritte e motivate). In questa complessa cornice politica, cerchiamo di ragionare sull’argomento attraverso l’analisi dei dati e dei numeri, convinti che una politica pubblica efficace dovrebbe fondarsi sulla razionalità piuttosto che sul campanilismo.

Anzitutto partiamo dagli ultimi dati a nostra disposizione. Nel rapporto sugli incidenti stradali del 2022 condotto da ACI e ISTAT, si registra un totale di 165.889 incidenti in Italia, con 3.159 vittime e 223.475 feriti. Si stima che il costo sociale ammonti a 18 milioni di euro pari allo 0.9% del PIL.

Sempre secondo questo rapporto, le principali cause degli incidenti sono le seguenti:

CausaNumeroPercentuale
Distrazione3270115.0%
Precedenza/semaforo2984013.7%
Velocità203169.3%

Qui è importante notare che una distrazione a 30km/h ha effetti ben diversi di una distrazione a 50km/h. L’infografica qui sotto illustra come cambino gli spazi di frenata in base alla velocità.

Un altro numero interessante da notare è che ben il 73% degli incidenti avviene sulle strade urbane.

Dati aggregati a livello nazionale come questi ci aiutano solamente comprendere l’entità del problema ma non ci aiutano a valutare l’eventuale bontà di un intervento legato ai limiti di velocità. Per una valutazione completa, è necessario un altro tipo di informazione: i microdati. I microdati sono insiemi di dati dettagliati che forniscono informazioni specifiche sulle singole unità statistiche, nel nostro caso specifico sui singoli incidenti.

La disponibilità di questi microdati consentirebbe al legislatore di effettuare valutazioni più precise sull’efficacia delle politiche esistenti, identificare aree critiche che richiedono interventi mirati e sviluppare nuove strategie di intervento basate su evidenze empiriche. Inoltre, permetterebbe di monitorare nel tempo l’andamento delle misure adottate e di apportare eventuali aggiustamenti in base ai risultati ottenuti dall’analisi dei dati.

Ma insomma, questi microdati sono disponibili oppure no? Per quanto riguarda la situazione a Roma, il Comune ha reso disponibili degli OPEN DATA estremamente dettagliati. Tuttavia, l’aggiornamento dei dataset è stato “momentaneamente” sospeso a causa delle attività di manutenzione del sistema informativo della Polizia Locale. Attualmente, l’ultimo mese disponibile è agosto 2022. Un vero peccato. Ecco di seguito una serie di informazioni disponibili:

  • Data e ora dell’incidente
  • Luogo esatto dell’incidente
  • Natura dell’incidente
  • Condizioni atmosferiche
  • Visibilità
  • Illuminazione
  • Numero di feriti, morti e illesi
  • Tipo di lesione
  • Cintura / Casco utilizzato
  • Airbag

Questi microdati rappresentano a nostro avviso una fonte incredibile di informazioni per gli amministratori della città. Tali dati consentirebbero, se ben utilizzati, di pianificare interventi mirati per migliorarne la sicurezza sulle nostre strade. Ad esempio è possibile identificare le strade e gli incroci più pericolosi, analizzare la tipologia degli incidenti, individuare i giorni della settimana e gli orari in cui si registra il maggior numero di incidenti, valutare l’impatto degli airbag, dell’illuminazione stradale o del manto stradale sulla sicurezza. Tutto questo e molto altro.

Come esercizio, abbiamo aggregato i dati delle 12 mensilità del 2021 (ultimo anno disponibile nella sua interezza) e utilizzato i dati di geolocalizzazione (latitudine e longitudine) per mappare gli incidenti nel corso del tempo. Il risultato è questa mappa dinamica creata con Flourish:

Da questa mappa animata si può ben notare la concentrazione di incidenti su specifiche arterie e vie consolari della città. La tabella sottostante riporta le 5 strade con più incidenti nel corso del 2021.

StradaNumero incidenti
Via Casilina1.410
Via Prenestina1.178
Via Cristoforo Colombo1.142
Via Tiburtina1.085
Via Tuscolana1.018

Torniamo ora al discorso dell’abbassamento dei limiti a 30km/h. Un approccio giudizioso sarebbe quello di prevedere l’istituzione di zone con limite a 30 km/h, focalizzandosi inizialmente su quelle ad alta incidentalità. Successivamente, dopo un periodo adeguato, sarebbe opportuno valutare se l’effettiva riduzione dei limiti di velocità abbia portato, numeri alla mano, i benefici attesi.

Oltre alla questione legata al numero di incidenti, ci si aspetta che l’introduzione di zone a 30km/h abbia un impatto positivo anche sull’inquinamento. I dati in questo caso ci sono e sono ed hanno una cadenza di pubblicazione addirittura giornaliera. Sul sito di Roma Capitale sono disponibili i report quotidiani della qualità dell’aria. Qui di seguito un esempio di report che riporta i livelli di concentrazione delle principali sostanze inquinanti, rilevati sul territorio di Roma Capitale dalla rete di monitoraggio cittadina che consiste di 13 colonnine.

I dati ci sono sta a noi utilizzarli al meglio.

#DecisioniBasateSuiDati #DataDrivenDecisionMaking

SOLO PER VERI GENI La banalizzazione della matematica

Sui social si assiste inermi alla banalizzazione di qualsiasi tema. Anche la matematica e i giochi matematici subiscono lo stesso trattamento. C’è stato un momento in cui sul web impazzavano giochi del tipo “quanto vale questo grappolo di banane?”, “quanti triangoli vedi in questa figura?” oppure ancora “quale di questi si riempirà prima?“.

Problemuncoli di ben poco spessore agli occhi dei veri appassionati di giochi e di enigmi matematici.

Questo tipo di giochi torna di tanto in tanto alla ribalta e il loro “successo” è certificato dal numero irragionevole di likes, commenti e condivisioni. Ma cosa li rende così dannatamente accattivanti al grande pubblico? Cosa spinge la casalinga di Pordenone a scrivere: “Io vedo solo 12 triangoli, chi mi aiuta?” e il metalmeccanico di Sondrio pavoneggiarsi del proprio inarrivabile acume “Ma come fai a non vederli?”.

Questi problemi sono sempre accompagnati da titoli roboanti del tipo “solo il 5% riesce a risolverlo”, “solo per i geni”, “sei più intelligente di Einstein?” e così via. A buon vedere, questi titoli sono almeno in parte il motivo del successo di questi post. Ha proprio ragione Mercoledì quando dice…

Trovo i social media un vuoto succhia anime di affermazioni senza senso

[Wednesday Addams]

Se davvero volete mettervi alla prova con qualche problema di tipo logico-matematico, fatelo andando a recuperare una qualche raccolta di rompicapi di Martin Gardner. Chi? Il più grande di tutti! Martin Gardner (1914-2010) matematico, illusionista, divulgatore scientifico, debunker (ovvero uno sbugiarda-ciarlatani) ma per quello per cui siamo qui oggi è stato anche ideatore di giochi e rompicapi matematici.

E ora, un piccolo problemino semplice semplice ve lo propongo io. Se siete stati in grado di risolvere quelli “per veri geni”, questo sarà facilissimo:

Se un uomo impiega 2 ore per verniciare una casa e un altro uomo impiega 3 ore per verniciare la stesa casa. Quanto tempo impiegheranno a verniciare la casa lavorando insieme?

Provate a dare una soluzione. Se 1) non ci riuscite oppure se 2) ci riuscite e volete controllare la risposta oppure ancora se 3) non ci avete neanche provato ma a questo punto siete curiosi, andate a pagina 2.

Fuga di cervelli (quelli buoni!)

Sono appena stati pubblicati i risultati dell’ultimo bando “Starting grants” dello European Research Council (ERC – vedi). Si tratta dei più prestigiosi finanziamenti europei dedicati ai giovani ricercatori, che ammontano in media a 1,5 milioni di euro per progetto. La selezione è molto competitiva (solo un progetto su dieci viene finanziato) ed è basata unicamente sulla qualità scientifica del ricercatore e della ricerca proposta.

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