L’uso massiccio della statistica per l’analisi di uno sport come il baseball è ormai cosa risaputa. Non fosse altro che per il film L’arte di vincere con Brad Pitt. Proprio in questi giorni (giugno 2020) su Netflix è in cima alle classifiche dei film più visti. Il film, il cui titolo originale è Moneyball, risale al 2011 ed è basato sul libro di Michael Lewis intitolato appunto “Moneyball: the art of winning an unfair game” (2003).
Per chi non avesse letto il libro e -accidentalmente- non avesse visto il film, la trama è per sommi capi la seguente: Billy Beane (Brad Pitt nella finzione cinematografica) direttore sportivo della squadra di baseball Oakland Athletics dovendo far fronte al ristretto budget di cui dispone, decide di giocare in modo non tradizionale affidando la campagna acquisti alle statistiche. I singoli giocatori vengono valutati non dal loro valore di mercato quanto piuttosto da una serie di statistiche di gioco. Riuscirà in questo modo ad ingaggiare giocatori dimenticati dal mondo del baseball professionistico ma particolarmente dotati (stando alle statistiche – infigures). Ecco un breve estratto del film per spiegare meglio il concetto:
Il libro e il film sono affascinanti perché mettono in luce lo scontro tra due modi distinti di guardare le cose: da una parte il vecchio mondo che prende decisioni d’istinto, affidandosi alla propria esperienza, al proprio giudizio personale, che si lascia guidare dal cuore e finisce per lasciarsi influenzare da aspetti irrilevanti. Dall’altro, un nuovo modo di pensare, più moderno, innovativo e per questo scomodo, fastidioso e particolarmente inviso. Un modo di ragionare analitico che guarda ai numeri e ai fatti piuttosto che al gusto personale e alle apparenze. Uno scontro insomma tra due sistemi diametralmente opposti di concepire il mondo del baseball.
Dopo quasi venti anni dalla pubblicazione di Moneyball, l’uso della statistica nello sport è un dato di fatto. Siamo nel pieno della cosiddetta data revolution. Ciononostante le resistenze sono ancora molte. Da questo punto di vista, alcuni dei dialoghi nel film sono memorabili. Si imputa a Billy Beane di negare la poetica del gioco. In verità sono tutti impauriti del fatto di non essere più necessari, che la loro esperienza non conti granché e pertanto la loro consulenza sia superflua. Un mondo antico che sbraita e sbuffa perché non vuole morire.
Lo stesso scontro si può riscontrare in molteplici altri ambiti. Nell’amministrazione della cosa pubblica, ad esempio, dove le decisioni -troppo spesso- vengono prese di pancia e non con la testa. Le decisioni, soprattutto quelle importanti, dovrebbero sempre avere uno sguardo ai numeri.
Questa diffidenza verso l’approccio statistico riflette un’altra paura umana molto diffusa. Una diffidenza non soltanto verso il mondo delle statistiche ma più in generale verso il mondo degli algoritmi. Avremo modo di parlarne, rimanete sintonizzati!
Per approfondire:
Moneyball: The Art of Winning an Unfair Game (libro in inglese su Amazon)